Sguardi sporchi

"Mi stai dando sguardi sporchi?"
"No!"
"Sei sicuro?"

Nel Regno Unito si chiamano occhiate sporche: i tempi in cui una persona (presumibilmente) guarda con disprezzo o disapprovazione un'altra persona. Gli sguardi sporchi sono un grosso problema.

"Perché l'hai colpito?"
"Perché mi stava dando sguardi sporchi!"

Perché un bambino possa sopravvivere, essere tenuto al sicuro e nutrito, deve essere guardato e riconosciuto dal genitore. Quindi, come bambini, urliamo disperatamente, attirando l'attenzione su di noi, sperando che qualcuno possa riconoscere qualunque cosa sia ciò che sentiamo e risponderà in modo appropriato. La psicoanalisi insegna l'importanza dello sguardo fisso tra una figura materna e il suo bambino, del riconoscimento reciproco, dell'ammirazione reciproca che sviluppa e unisce i due insieme, dando loro la fiducia.

Il nostro bisogno di riconoscimento è primitivo, quindi, e non scompare mai. Ma cosa accadrebbe se la nostra esperienza originale da bambini fosse di non essere riconosciuta o riconosciuta non tanto bella e affascinante ma altrettanto cattiva e inutile, che urlava per dispetto? Il nostro bisogno di essere riconosciuti non cambia mai, ma l'intero processo di essere riconosciuto diventa spaventoso e doloroso. Ogni volta che qualcuno ci guarda, abbiamo paura di ciò che potrebbero vedere e la nostra difesa – comprensibilmente – è quella di fermarli in primo piano. I combattimenti scoppiano perché la Persona A guarda semplicemente la Persona B e, per la Persona B, questo è più di quanto possa sopportare. Lo sguardo sfonda la sua difesa. In fondo, sembra ancora una volta essere visti come sporchi e deboli. La persona B si sente esposta, vulnerabile, infantile. Quindi si scaglia, non come il sedicenne sedicenne, ma come il panico bambino di 16 giorni che era una volta.

Nella scuola in cui lavoro, incoraggio costantemente lo staff a riconoscere i giovani, per sempre salutandoli, chiamandoli per nome e contattando gli occhi; perché per la stragrande maggioranza, questo quotidiano drip-feed di riconoscimento è un sollievo: sembra importare, come appartenere. Ma per alcuni è una minaccia. "Perché mi sta salutando?" Alcuni evitano del tutto il contatto visivo. Altri guardano indietro, impauriti.

Potenzialmente, per essere riconosciuto deve essere capito. Il bambino spera che le sue urla monotone siano intese come "Ho fame!" O "Sono bagnato!" O "Sono a disagio!" Il lavoro dei genitori è capire correttamente piuttosto che interpretare l'urlo come "Odio tu! "o" Sei un genitore schifoso! "o" Sono determinato a impedirti di dormire! "

Quindi, come terapeuta, mi trovo seduta con i giovani, tutti alla ricerca disperata di riconoscimenti, ma tutti diffidenti nei confronti del tipo di riconoscimento che otterranno, specialmente se hanno già fatto cose cattive. "So che fai cose cattive a volte", dico guardandoli, "ma so anche che, sotto, sei gentile, amorevole e bravo a difendere le altre persone".

I giovani più cattivi non si ostinano mai. Invece, sembrano sollevati.