Promessa pura in un giorno cupo: perché il desiderio ha bisogno di gratitudine

Come puoi continuare a volere e non rimanere deluso?

Bleak. Non c’è altra parola per il mondo fuori dalla mia finestra questa mattina. I colori sono torbidi, dal marrone annerito al verde fangoso alla crema appassita. Macchie di cumuli di neve sul fianco della collina. I tronchi degli alberi, con aria di sfida, stanno con i bastoni abbandonati e fradici, senza niente da fare e nessun posto dove andare. Una leggera pioggia sta cadendo, offuscando il mio punto di vista, affondando fino all’osso, mentre mi siedo dentro. Nuvole fredde pendono fitte e basse, premendo sulla mia fronte. È un giorno per rannicchiarsi di fronte al fuoco e aspettare un altro giorno a venire.

Eppure, è il mio periodo dell’anno preferito.

K LaMothe

Fonte: K LaMothe

Il cast cupo di questo giorno di marzo non è il cupo novembre, quando il mondo si oscura. Né è lo squallore di febbraio quando l’inverno si rifiuta di rilasciare la sua fredda presa a dita. Là fuori, in mezzo al grigio, ci sono chiazze di luce. Là fuori, cinguetta un piccolo coro, uccelli che pompano fuori forme soniche di impazienza. L’aria scoppietta. Le oche selvatiche si girano in cerchio, battendo e roteando verso il laghetto dall’altra parte della strada, gridando di farmi sapere che sono qui. La primavera sta arrivando .

Gli alberi a forma di bastone, senza foglie come sono, stanno cambiando colore. I rami di salice stanno diventando dorati; gli aceri rosso ciliegia; le punte dell’ombra di cenere si alzavano con gemme invisibili. Sento un senso di aspettativa che mi spinge in avanti.

Questo momento è un momento di pura promessa. Non vedo la primavera, ma posso immaginarlo. Lo voglio. Sono felice nel mio desiderio per questo. Desideroso di svuotare i letti del giardino, tagliare i lamponi e vedere la vita esplodere.

Sul punto di primavera, mi viene in mente. Questa tensione che sento ora è con me tutto l’anno, mentre navigo ondate di desiderio e gratitudine, gratitudine e desiderio. Uno ha bisogno dell’altro. I due si spostano avanti e indietro in una vibrazione che diventa un ronzio, un om, il suono della creazione.

Sono sempre desideroso, per quello che non ho, per quello che posso immaginare, per di più. Più energia, più tempo, più solidarietà, più pace, più amore, più libertà, più denaro, più comunità, più creatività, più produttività, più attenzione, più presenza, più danza, più verità, più giustizia, più da me stesso, più per gli altri, più per la terra.

Tale desiderio può essere fonte di conflitto e dolore, amarezza, gelosia o rabbia, quando ciò che vogliamo non viene, non è giusto, o non è sufficiente. Alcuni biasimano se stessi, legati alla delusione con un fermaglio di ferro: il desiderio è la colpa del tumulto che crea.

E a volte quando il dolore del desiderio è sembrato troppo da sopportare, ho cercato di spegnerlo, e non mangiare, non volere, non seguire la mia felicità; non onorare la verità e la saggezza del mio sé corporeo. Quando lo faccio, rimango miserabile, fin troppo pronto a giudicare gli altri che hanno più di qualcosa di me.

Ma volere non è il problema. Volere ha solo bisogno del suo gemello: gratitudine. La costante coltivazione della gratitudine, l’implacabile apprezzamento dell’abbondanza e una continua meraviglia della bellezza tutt’intorno sono le pratiche che alimentano il desiderio di più. La gratitudine attenua il dolore, ammorbidisce il dolore e libera la delusione nella speranza.

Solo la gratitudine può soffocare. Con gratitudine da solo, non hai bisogno di nulla. Non voglio niente Contenuto, ti siedi. Ancora. Non aspettare. Per qualsiasi cosa. Il desiderio mantiene la gratitudine croccante, fresca e necessaria.

In questo periodo di primavera sento entrambi, desiderio e gratitudine, battendo avanti e indietro in un costante trionfo. Così grato di essere qui a cuspide, e di volere di più.

Non ho tutto ciò che voglio.
Spero di non averlo mai fatto.
Sono grato oltre ogni parola per tutto ciò che ho.
Spero di esserlo sempre.

È un modo di essere che Martha Graham ha definito una “strana insoddisfazione divina” – una che mi mantiene viva e vigile, aperta e flessibile ai venti del polso generativo della terra.

Col passare del tempo, con ogni anno che passa, con ogni presa e rilascio, ognuno per favore e grazie, le forme del mio volere si evolvono, cadendo sempre più in linea con le traiettorie di attenzione che sto pagando agli spazi sensoriali del mio sé corporeo . I miei desideri si allineano più pienamente con la mia capacità di dare e i bisogni che percepisco intorno a me. La mia gratitudine si riversa più facilmente in atti di compassione ed empatia per me stesso e gli altri. Mi muovo, consapevole di ciò che stanno facendo i miei movimenti.

È il paradosso dell’artista della vita – colui che crea con la vita, per creare una vita, non come espressione di un sé singolare, ma come l’emergere di un mondo di relazioni reciprocamente capaci.

Quindi in questo momento, quando la primavera è alle porte, sento il ronzio che mi fa andare avanti tutto l’anno, sempre grato e sempre desideroso di più.

Con il cuore teso, gli occhi aperti, un flusso di ringraziamenti è sotto il mio respiro, sto volendo ma non bramo. Gioioso ma non contento. Felice ma non soddisfatto. Desideroso di dare di più e pronto a discernere i momenti in cui posso.

Tenendo il desiderio con leggerezza, un uccello fragile, nient’altro che vento e piume, pronto a volare.